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Quando arriva l’estate

Il tempo d’estate di noi piccoli adolescenti degli anni Settanta era segnato da secondi solari, foglie verdissime, costumi da bagno che riapparivano dagli armadi, preparazione di vacanze. Per alcuni, addirittura, di villeggiature lunghe tre mesi.

Tempo d’estate. Di giorni d’indipendenza, vera o pensata. L’Italia si sveglia al primo sole e riscopre puntuale le vacanze. Le ferie, o la feria, se preferite, di luglio e d’agosto ci consentono di viaggiare nel mondo appena intravisto tra le brume d’inverno, progettato con passione tra una scadenza e l’altra della vita.

Da bambino, forse era l’effetto della scuola, ricordo che l’estate, molto più di Capodanno e dei riti della settimana di Natale, scandiva i tempi di quell’epoca iniziata a ottobre e che si chiudeva puntualmente con la Festa della Repubblica e i tricolori appesi.

Mare e montagne, colline, laghi, fiumi erano gli amici dei piccoli. Via la borsa a tracolla, la cartella, via i libri. Due raccomandazioni della maestra, i compiti delle vacanze. Ciao agli amici e compagni di banco. L’anno finiva lì, alle soglie dell’estate.

E quando, il primo ottobre, ci si ritrovava, era il momento dei racconti, dei ricordi dell’estate, della narrazione di eventi, per noi, epici e semplici.

Era il nostro Capodanno. E quell’inizio d’estate aveva la valenza di uno spartiacque che ci avrebbe accompagnato, dalla bicicletta al motorino, dalla voce candida alla pubertà e all’acne. Poi arrivava la maturità e tutto poteva essere diverso. E anche il Capodanno avrebbe ripreso il suo potere e il suo ruolo.

Però, quell’estate, che ora vorrei rivivesse con la sua magia, con la stessa serenità anche per mio figlio, appariva bella e viva e da scoprire, con giorni lunghissimi e condita da grandi attese. Bella come la nostra Italia e carica di tutti quei sentimenti che vi auguro davvero di vivere, ritrovare, cercare, anche quest’anno. Non importa per quanti giorni, o dove, o con che risorse economiche, se ancora ne abbiamo e ne avremo.

Ma con il cuore di allora. E il sorriso di allora, quando le cicale erano la colonna sonora d’un film appena iniziato e le lucciole, di sera, erano le “maschere” che ci conducevano ai nostri posti a sedere, davanti al palcoscenico della vita, che si spalancava.

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